PASSANDO DALLE HIGLANDS
Passando dalle Highlands
Dopo una decina di minuti la F35 era diventata una strada sterrata.
Avete presente quei film distopici che ogni tanto fanno capolino tra le novità al cinema? Ecco, focalizzate per un attimo la scena in cui una macchina vaga solitaria senza meta in un paesaggio completamente abbandonato dalla vita antropica, animale e vegetale, sollevando un gran polverone al suo passaggio.
Verrebbe da pensare di essere in un luogo dove l’uomo scomparve per una guerra distruttiva, oppure per l’arrivo di alieni dalle cattive intenzioni, o peggio ancora il non trovare anima viva potrebbe corrispondere ad un passato dove un virus mortale fece la sua parte, colpendo l’umanità (molto attinente con il momento in cui è stato scritto questo articolo).
Dopo il primo giorno passato nel verde brillante, ed il secondo nel bel mezzo di un’invasione barbarica, attorno a noi vi era il vuoto totale. La scenografia era nettamente cambiata, mostrando una delle zone più severe dell’Islanda: il deserto polare.
Terra, sabbia e roccia a perdita d’occhio, con in lontananza il bianco delle calotte ghiacciate, da cui nascevano fiumi che attraversavano l’entroterra islandese.
Ci siamo incrociati solo con pochissime macchine che andavano nella direzione opposta.
Le strade di montagna, o F-Road, sono percorribili solo nella tarda primavera ed in estate, e solo con mezzi 4x4, ma ovviamente a seconda della strada varia il livello di difficoltà, poiché possono esser presenti alcuni tratti da guadare. In queste ultime è consigliato andarci con veri fuoristrada, mentre per strade come la F-35 bastano dei semplici SUV 4x4.
La strada stava diventando sempre più sconnessa, con alcuni punti insidiosi per le povere ruote del Vitara, mentre il paesaggio si faceva sempre più lunare.
Per un attimo abbiamo immaginato di ritrovarci fermi, con una ruota squarciata, in una zona senza campo, ma questo pensiero è terminato al raggiungimento di Kerlingarfjoll, luogo dove avremmo trascorso la notte: in una zona pianeggiante d’erba, circondata da colline di riolite color giallo-arancione, erano presenti decine di tende, camper e roulotte, sistemate più o meno tutte accanto al fiume.
C’erano tende piccole, tende un po’ più grandi e tende da capo tribù, e tutta questa scenografia, vista dalla nostra angolazione, somigliava ad un campo Sioux.
L’hotel rifugio era sull’altro lato del fiume, e dopo il check-in ci siamo incamminati sul sentiero che costeggiava il corso d’acqua; dopo una mezz’oretta abbondante ci siamo ritrovati al cospetto di una piccola pozza termale: la temperatura dell’acqua non era elevata, ma il piacere di immergersi dopo tutta la polvere mangiata e la fatica compiuta è stata senza pari.
Successivamente siamo tornati in hotel, e dopo un fallito tentativo d’avvistamento dell’aurora boreale (quasi impossibile per le troppe ore di luce), siamo andati a letto.
La mattina seguente siamo ripartiti alla volta di Akureyri, percorrendo la seconda parte della F-35.
Studiare le tappe a tavolino comodamente da casa comporta un indubbio vantaggio: difficilmente si va alla cieca, ottimizzando così il tempo vacanza, in modo soprattutto da non far coincidere i propri spostamenti con quelli della massa turistica.
Avevamo letto di commenti negativi su Hveravellir e sull’impossibilità di concedersi del relax nella sua tanto decantata piccola pozza termale per il troppo affollamento, ma la scelta del “quando andare” è la causa che genera il commento: negativo quando in troppi vogliono quel poco, positiva quando pochi ne beneficiano.
Così siamo arrivati nell’area geotermale di Hveravellir prestissimo.
Tutta la zona era ricca di bellissime fumarole, piccoli rigagnoli e pozze di fango, e la terra circostante spaziava da un color grigio chiaro a un giallastro con punte di rosso e azzurrino. Il percorso per visitarle era ben segnalato, con delle passerelle in legno ben tenute. L’area era circondata da un prato color verde brillante con le immancabili pecore che brucavano tranquillamente, e vi erano delle aree riservate al campeggio.
Anziché addentrarci nel sentiero che avremmo percorso in seguito, ci siamo immersi nella pozza termale fumante e completamente vuota (visto l’orario mattutino).
Due tubi, uno di acqua bollente (100°C, fate attenzione a non avvicinarvi troppo!) ed uno di acqua fredda riempivano una piccola piscina rocciosa, con delle pietre bianche che facevano da sbarramento permettendo alla pozza di riempirsi.
L’acqua si aggirava oltre i 40°C e credeteci se diciamo che era la fine del mondo!
Alla fine della gita siamo ripartiti alla volta di Akureyri, e dopo un’ora abbondante siamo usciti dalla F-35, ritornando alla civiltà rurale delle fattorie, delle pecore e delle immense montagne ondulate e dolci colline verdi.
Siamo arrivati a destinazione nel primo pomeriggio, e dopo il check-in in hotel abbiamo visitato la piccola capitale del nord islandese, circondata da alte montagne che la proteggono dai venti, e situata nel fiordo Eyjafjördur, il più lungo del paese (60 km).
Ci siamo concessi una mezza giornata di riposo dopo tutti i chilometri percorsi, invece di tentare di avvistare una coda di una balena in lontananza con le tante escursioni che partivano da lì o dalla vicina Husavik.
Ritengo che sia giusto proporre al turista queste bellissime escursioni, ma la reale possibilità che un cetaceo compia una piroetta a 50 m dalla barca, solo per noi, credo sia molto limitata.
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