ALBA E TRAMONTO LUNGO L'IRRAWADDY 3/3
Dall’alba al tramonto lungo le sponde dell’Irrawaddy 3/3
Da Mandalay a Mingun passando per Ava, lungo le sponde dell’Irrawaddy sono sorti e tramontati numerosi regni.
Andando ancor più indietro nella storia (e seguendo il corso del fiume nel suo cammino verso il mare), le pagine più importanti del Myanmar sono state scritte nella piana di Bagan, dove una volta sorgeva l’impero di Pagan.
A testimonianza di questo impero restano centinaia di templi, divenuti oggi patrimonio mondiale dell’umanità.
In circa tre secoli furono eretti, in una folle corsa di edilizia religiosa, qualcosa come 13000 templi in pochi chilometri quadrati!
In questa zona unica al mondo, coeva di Angkor in Cambogia, abbiamo soggiornato per due notti, tempo necessario per vedere almeno un infinitesimo di questo posto surreale. Abbiamo noleggiato due biciclette classiche preferendole ai motorini elettrici scelti dalla stragrande maggioranza di turisti, pensando che non sarebbe stato bello rimanere in panne, magari a chilometri di distanza dall’hotel, non sapendo spiaccicare mezza parola in birmano. Con i nostri mezzi malconci abbiamo percorso la piana in lungo e in largo senza alcun problema, superando turisti con lo scooter in avaria!
Qui di seguito riportiamo un elenco dei nomi delle principali pagode e luoghi d’interesse.
Unesco
Pagoda Shwezigon
Impossibile da non notare, la pagoda dorata Shwezigon somiglia per la sua grandiosità alla Shwedagon di Yangon. I lavori di costruzione iniziarono per volere di re Anawrahta nel 1047, e furono terminati da suo figlio per custodire la clavicola ed il dente di Buddha portati dallo Sri Lanka. Alla base delle 4 scalinate sorgono dei santuari contenenti dei grandi Buddha dorati, e sono presenti anche delle piastrelle smaltate che raffigurano dei Jataka, racconti popolari sulla vita del Buddha storico. La pagoda è altresì particolare poiché contiene immagini raffiguranti gli spiriti Nat birmani sulle terrazze inferiori dello stupa.
Kyansittha Umin
Questo tempio, che si trova all’ombra della Shwezigon, contiene dei bellissimi affreschi risalenti al periodo di lotta contro la civiltà dei mongoli.
Ananda Paya
Fu costruito per ordine del re Kyanzittha, verso la fine dell’XI secolo D.C. Il nome della pagoda è dedicato ad Ananda, cugino e discepolo del Buddha, famoso per la fedeltà assoluta al maestro.
E’ considerato il massimo capolavoro di architettura del primo periodo, e verso la cima sono presenti diverse terrazze dove è posta una vertiginosa guglia rivestita d’oro alta 52 metri.
Alla base del tempio sono dipinte molte piastrelle smaltate che raccontano varie scene dei Jataka.
Al suo interno si trovano 4 enormi Buddha, e quello che si incontra a est è molto insolito per i canoni buddisti, perché stando in piedi tiene tra due dita una pillola d’erbe per alleviare le sofferenze.
Bupaya
E’ il luogo religioso più frequentato di Bagan che, con il suo inconfondibile e slanciato piccolo stupa dorato, si innalza da una terrazza bianca merlata, e presenta una scala che porta al fiume. Lì vicino si tiene il pittoresco mercato della zona.
Tempio Thatbyinnyu
È il più alto dei templi di tutta Bagan, ed è inoltre uno dei più grandi di tutta la regione. Con la forma a doppio cubo tipica della zona, fu costruito dal re Alaungsithu (1112-1167), e rappresenta stilisticamente il confine tra primo e tardo stile. Fatto curioso: nelle immediate vicinanze si trova un piccolo tempio, eretto con i mattoni messi da parte per la conta di quelli usati per il Thatbyunnyu: stiamo parlando di un mattone conservato ogni 10.000 impiegati (tanto per render l’idea della grandiosità del santuario principale).
Manuha
Secondo la leggenda, fu costruito per volere del re Mon di Thaton Manuha, prigioniero del re conquistatore Anawrahta. Al suo interno sono contenuti tre grandi Buddha che stanno stretti, come se simboleggiassero la prigionia e la ristrettezza dello stesso Manuha.
Tiziano Terzani scrisse: “Nel tempio di Manuha, appena fuori le mura di Bagan, c’è un enorme Buddha di pietra che i birmani oggi indicano come il simbolo della loro condizione. Il tetto del tempio gli preme sulla testa. Le pareti gli stringono le spalle. Il suo petto è come se non avesse spazio per respirare. Il suo corpo è come pressato in una cella. Il Buddha di Manuha è lì da più di mille anni, prigioniero, col suo sorriso triste rivolto verso la parete. Lo fece costruire un re che aveva perso la libertà e che volle ricordare al suo popolo le pene di quella condizione. ‘Noi birmani siamo come lui. Abbiamo il petto gonfio di amarezza, pieno di cose che non possiamo dire’, mi bisbiglia l’uomo che mi sta accanto, inginocchiato in preghiera. Impaurito dal proprio ardire, si alza e scappa via. Così è la Birmania oggi.” (In Asia)
Insomma, in questo meraviglioso posto abbiamo dedicato tutta la giornata alle pagode, alcune dai nomi impronunciabili, rimanendo sempre meravigliati del genio umano.
Infine, nell’ora del tramonto, abbiamo preso posto al di sopra di alcune rovine per vedere uno spettacolo che ci ha reso orgogliosi di “essere degli esseri umani”: al calar del sole, le mille figure formate dalle centinaia di pagode restituivano un senso di quiete profondo, mentre le ultime preghiere scandite dai monaci riecheggiavano in tutta la piana.
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