Lunghezza percorso:
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Diga di Molare
3.5 Km
100 mt
Escursionistico
No
Ottobre
Un gigante
si cela tra la
vegetazione,
un monito per
il futuro.
IL GIGANTE DIMENTICATO
Lunghezza percorso: 3,5 km.
Periodo escursione: ottobre
Il Gigante Dimenticato.
Lasciamo le coordinate del punto di partenza dell'articolo:
44.571449, 8.606173 Partenza dal lago di Ortiglieto
(Copia e incolla nella ricerca di Google Maps)
Informazioni generali.
Qui di seguito elenchiamo le possibili località di partenza per visitare la diga di Molare:
- Località Le Garrone, presso la vecchia carrozzabile. La vecchia strada carrozzabile conduce alla spalla destra della diga di Molare. Il sentiero non presenta difficoltà se non nel punto in cui arriva alla diga. Per salire sulla diga occorre arrampicarsi per una piccola pietraia sulla destra, prima dello scivolo (fare attenzione!)
- Località Le Garrone, chiedendo il permesso di passare in un terreno privato. Utilizzando questo sentiero arriverete a Cascina Alberghino, attraverserete il fondo del lago e guaderete il Rio delle Brigne. Una volta preso il sentiero che conduce alla diga vi ritroverete sulla spalla sinistra.
- Località Ortiglieto. Questo è l’itinerario più semplice. Lasciate la macchina in località Ortiglieto (parcheggiate lungo la strada vicino all’omonimo lago) e prendete il sentiero che costeggia le vasche di decantazione. Successivamente guadate l’Orba e risalite il sentiero che vi condurrà presso la vecchia casa del guardiano, sulla spalla sinistra della diga di Molare.
Tutti i tragitti non presentano particolari difficoltà, ma non essendoci cartelli, segnaletica e campo consigliamo, almeno per la prima volta, di farli in presenza di guide locali.
Per le cartine dei percorsi andate alla fine di questo articolo.
Introduzione.
L’essere umano, durante il suo cammino evolutivo, ha imparato a sfruttare gli elementi naturali per ricavarne energia: ha saputo catturare la luce del sole e le reazioni nucleari tra le particelle, ed ha imbrigliato la forza dell’acqua, del vento ed il calore proveniente dagli strati più profondi del pianeta; per le sue attività ha trovato giacimenti di combustibili fossili ed idrocarburi, ed è alla continua ricerca di nuove fonti di energia.
Primi del ‘900: l’inarrestabile corsa al carbone bianco della valle dell’Orba
Proprio lo sfruttamento dell’acqua sotto la forma d’energia idroelettrica ha posto le basi dello sviluppo italiano a cavallo tra fine ’800 ed inizio ‘900, decenni in cui la forza dell’acqua soddisfava l’85% del fabbisogno elettrico nazionale.
Per questo motivo l’acqua, in un’Italia povera di materie prime quali carbone e petrolio, veniva chiamata “il carbone bianco”.
Anche i confini tra Liguria e Piemonte divennero terra di conquista nella corsa all’idroelettrico: gli sbarramenti del torrente Gorzente, presso le Capanne di Marcarolo, fecero nascere i laghi del Gorzente e della Lavagnina.
In quell’epoca si pensò anche di sfruttare l’acqua dell’Orba, un torrente che nasce lungo il versante settentrionale del monte Reixa che, anziché dirigersi verso il mar ligure, percorre quasi 70 km prima di unirsi al Bormida, uno degli affluenti del Po.
I tecnici di allora individuarono il punto di costruzione della diga vicino all’abitato di Molare, zona in cui l’Orba prosegue il suo cammino formando dei pittoreschi meandri incastonati nelle strette gole rocciose.
Il progetto iniziale della costruzione della diga prevedeva uno sbarramento solo di altezza contenuta, ma la possibilità di sfruttare elettricamente l’Orba fece ingolosire le aziende appaltatrici, che modificarono più volte il progetto e cominciarono i lavori a cavallo degli anni ‘20, superando sia le rimostranze della popolazione della vallata sia gli approfondimenti e miglioramenti tecnici imposti dalla commissione Gleno.
La costruzione della diga terminò nel 1925: nacque il grande lago di Ortiglieto, la cui acqua veniva convogliata sotto pressione in una galleria di carico lunga 3 km, e portata alle turbine della centrale elettrica a valle sita in Madonna delle Rocche, mediante una condotta forzata finale.
Secondo molti, questa linea fu la voce di spesa più importante di tutto il progetto, che prevedeva inoltre un secondo sbarramento alto 15 mt. posizionato sulla sella Zerbino, punto in cui il meandro dell’Orba svoltava a destra e si dirigeva verso la diga principale.
Sulla diga secondaria di sbarramento venne così continuata la strada carrozzabile e fatta passare la linea telefonica d’emergenza.
Fin da prima dell’inaugurazione del nuovo bacino, sella Zerbino diede alcuni campanelli d’allarme con le infiltrazioni d’acqua che attraversavano gli strati di roccia, considerati solidi. Tuttavia i gestori della diga, desiderosi di vendere energia, non approfondirono il problema anzi, quasi lo nascosero, sommergendolo frettolosamente di calcestruzzo.
2021
Abbiamo incontrato Serena, la nostra guida locale, ed il geologo Vittorio Bonaria presso la località Le Garrone, una sperduta frazione di Rossiglione, piccolo comune facente parte della valle Stura.
Vittorio ha dedicato tantissimo studio a tutta la vicenda, e questo articolo è stato possibile scriverlo grazie al suo libro ed al suo impegno profuso durante le sue spiegazioni.
Per chi volesse approfondire, rimandiamo al suo sito www.molare.net, dove oltre alla tragedia vengono trattati altri argomenti del territorio.
La giornata era ideale, con un bel sole che scaldava quasi come in estate.
Dopo aver chiesto ad una gentile signora il permesso di passare per il suo terreno, ci siamo incamminati nel fitto bosco verso la prima tappa della giornata, le rovine di Cascina Alberghino, che un tempo era a due passi dal bacino del grande lago di Ortiglieto.
Dopo averla superata siamo discesi con piccoli tornanti fino al Rio delle Brigne, un tempo fondale del lago.
Abbiamo quindi guadato senza difficoltà il piccolo rio e siamo entrati in una zona più umida.
Ad un certo punto abbiamo preso il sentiero verso destra e, dopo una decina di minuti, ci siamo ritrovati sopra la vecchia carrozzabile che ci avrebbe portato alla casa del guardiano.
Eravamo in una zona impervia e quasi primordiale, dove una selva impenetrabile di alberi misti, con molti castagni e noccioli, nascondeva tra le sue braccia il gigante dimenticato.
Quel 13 agosto 1935.
L’estate italiana porta quasi sempre precipitazioni scarse: i contadini della valle dell’Orba lo sapevano bene, ma mai si sarebbero aspettati una siccità così grave come quella del 1935.
Sperarono per quasi tutta l’estate, in attesa di una provvidenziale pioggia che garantisse il salvataggio dei raccolti, ormai ridotti allo stremo.
La stessa O.E.G. (Officine Elettriche Genovesi), società che gestiva la diga, fu costretta a ridurre la produzione elettrica e chiudere gli scarichi di quest’ultima.
All’alba del 13 agosto le preghiere dei contadini vennero ascoltate, perché in lontananza videro avvicinarsi delle scure nuvole cariche di pioggia.
Cominciò a piovere.
La pioggia si fece insistente, così insistente da causare un vero e proprio nubifragio che si abbatté con estrema violenza su tutta la valle. I pluviometri dell’epoca registrarono accumuli inauditi, con centinaia di millimetri che caddero in pochissime ore su tutto il bacino idrografico del lago artificiale di Ortiglieto.
Cadde così tanta acqua che il deflusso necessario per far diminuire l’acqua del lago, giunta a quote allarmanti, era di 2.200/2.300 metri cubi al secondo: un evento che statisticamente capita una volta ogni 1000 anni!
Il guardiano della diga di Molare, Abele De Guz, fece tutto ciò che era in suo potere per azionare gli scarichi, ma non fu sufficiente, perché l’acqua era troppa ed livello continuava a salire… e a salire così tanto che raggiunse la quota altimetrica della strada, cominciando a stramazzare, sia dalla diga principale di Molare che dallo sbarramento di sella Zerbino.
Qualche istante più tardi, mentre l’acqua superava di oltre 2,5 mt il livello delle dighe, De Guz si mise in salvo con la famiglia salendo sul tetto della casa, e continuò a segnalare a valle il grave pericolo attraverso la linea telefonica diretta con la centrale elettrica.
Alle 13.15 il collegamento a valle si interruppe: la linea telefonica che correva sopra lo sbarramento di sella Zerbino fu portata via dall’acqua, e con essa tutta la sella e la diga secondaria.
25 milioni di metri cubi di acqua, fango e detriti annientarono completamente sella Zerbino, ed iniziarono una corsa di devastazione e morte. Della centrale a valle rimasero solo le pesanti turbine, mentre il resto si disperse tra i flutti.
L’onda di piena alta 20 metri travolse qualsiasi cosa, albero, animale e persona lungo il cammino, ed arrivò fino ad Ovada, dove uccise più di 100 persone.
2021
Davanti ai nostri occhi c’era l’imponente diga di Molare, rimasta in piedi nonostante le precipitazioni storiche che si abbatterono sulla valle Orba nel triste agosto del 1935.
La diga fu costruita in mezzo a due solide spalle rocciose, diversamente da quella secondaria in calcestruzzo di sella Zerbino.
Periodo successivo al disastro
I giorni seguenti al disastro venne istituita una commissione speciale per capire di chi fosse la responsabilità del disastro. Dopo quasi 4 anni di processo tutti gli imputati, tra cui gli ingegneri progettisti ed i dirigenti, furono assolti perché si diede la colpa all’eccezionalità dell’evento meteo. In realtà il disastro doveva essere dimenticato in fretta, perché era sinonimo di inefficienza in un periodo dove l’efficienza veniva celebrata con la propaganda fascista.
Sella Zerbino non cedette per la straordinarietà dell’evento estremo, ma perché l’uomo accelerò di migliaia di anni quello che sarebbe stato il destino naturale del luogo: la zona presentava delle discontinuità strutturali in alcuni punti, capaci di disgregarsi sotto forti pressioni.
Non si approfondì la geologia del territorio, e si compirono delle ricerche solo superficiali. In quel luogo non si sarebbe mai dovuta costruire alcuna diga di tale grandezza.
Per non far morire definitivamente i “sogni di gloria”, nel 1940 O.E.G. decise di costruire un piccolo sbarramento a sfioro in località Ortiglieto (tutt’ora presente), e riutilizzare il costosissimo tunnel di carico (non più in pressione) per alimentare la nuova piccola centrale sorta sulle macerie di quella più grande.
2021
Il panorama era surreale, con questa costruzione abbandonata in contrasto con la rigogliosa natura intorno.
Successivamente abbiamo percorso il camminamento della diga e siamo tornati indietro, proseguendo verso l’ex sella Zerbino, a cui siamo giunti percorrendo la vecchia carrozzabile.
Alla fine della stradina, diventata quasi una traccia per l’avanzare incessante del tempo, abbiamo visto lo squarcio causato dalla furia dell’acqua di quel giorno, dove ora passa l’Orba.
Prima di tornare indietro verso il punto di partenza è possibile arrivare ai piedi della diga: occorre tornare al Rio delle Brigne e seguire il suo corso con un pò di fantasia. Potrete così scorgere la diga anche da un altro punto di vista tra la fitta vegetazione che ha ricoperto il luogo del disastro.
L’interno della diga è visitabile, ma sconsigliamo di farlo da soli.
Noi ci siamo affidati a Centro Studi Sotterranei, che opera da decenni organizzando visite di questo tipo ed ha la sua sede nel Genovesato.
Nel ventre del gigante, camminando con attenzione su ciò che rimane dei gradini, erano ancora presenti delle piastrelle ceramiche che indicavano l’altezza, ed una volta arrivati alla base della diga si vedevano sia le concrezioni di carbonato di calcio tipiche dell’ambiente ipogeo, sia il pavimento di “sabbie mobili fangose”, dove dall’oscurità filtrava la luce esterna proveniente dallo scarico di fondo.
Noi consigliamo di compiere tutti questi percorsi per vedere con i propri occhi quel gigante dimenticato, che sembra sospeso nel tempo: sta ancora lì in piedi, come monito per le generazioni future a non ripetere gli stessi errori progettuali e sottovalutare i rischi pensando solamente al lucro.
Cartina dell'escursione
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